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Don Fabio Corazzina, la voce narrante del corteo delle delegazioni

Non più - per problemi di salute - don Piero Lanzi. A deciderlo l'Archivio storico Bigio Savoldi e Livia Bottardi Milani della Camera del Lavoro di Brescia, che ha sempre gestito questa parte della mattinata della commemorazione. L'intervista


Numerose le iniziative dedicate al 43esimo anniversario della strage di Piazza Loggia del 28 maggio 1974. Domenica sarà come sempre la giornata clou, con la piazza impegnata da mattina presto a sera inoltrata. Al mattino ci sarà però una novità, almeno per chi frequenta la piazza da sempre in occasione del 28 maggio. La voce narrante del corteo delle delegazioni delle fabbriche, delle scuole e degli enti istituzionali non sarà più quella di don Piero Lanzi, impossibilitato per motivi di
salute, ma quella di Don Fabio Corazzina. A deciderlo l'Archivio storico Bigio Savoldi e Livia Bottardi Milani della Camera del Lavoro di Brescia, che ha sempre gestito questa parte della mattinata della commemorazione. Qui sotto l'intervista a Don Fabio Corazzina, pubblicata sul Corriere della Sera (dorso di Brescia).

Don Fabio, come mai questa sostituzione?
«Nessuna sostituzione, non chiamiamola in questo modo. Don Piero, per problemi di salute e di energia, non ce la fa più a essere presente in piazza tutta mattina. E così mi hanno chiesto se posso farlo io. Ho accettato ben volentieri, e spero che abbiano riconosciuto in me anche una storia e un desiderio di giustizia».

Si ricorda il giorno della strage?
«Certo, avevo 14 anni allora, ero già in seminario, ci ero andato anche per andare via dal paese. E mi ricordo che ci lasciarono andare in piazza il pomeriggio. Mi ricordo il clima della città, intimorita, ma anche la voglia di riscatto, la tensione dei funerali, una chiesa che aveva il coraggio di restare in piazza. Brescia colpita ma capace di reagire insomma, a volte con rabbia ma desiderosa di futuro. E per me, adolescente, fu cosa davvero sorprendente conoscere il male e, allo stesso tempo, il grande desiderio di vita».

Ha chiesto consigli a Don Piero su come stare in piazza?
«certo, sono andato a trovarlo proprio questa mattina (ieri, ndr). Ma chi lo conosce sa che Piero è molto intelligente e sa che le persone a un certo punto devono camminare da sole. E così mi ha detto. Guardi, una cosa che mi ha sempre molto colpito di Don Piero è proprio la fiducia e la stima che ha nelle persone».

Sono passati 43 anni dalla strage, c'è un rischio retorico in queste commemorazioni?
«Il rischio c'è sempre, ma non per Brescia: è stato un fattaccio troppo grosso. E davanti a questo ognuno tira fuori il meglio di sé. E il portare un fiore è un regalare qualcosa alla città, è un rilancio della nostra cittadinanza, dove ognuno si mette in gioco».

Come vede la città oggi?
«Siamo in tempi molto diversi e dobbiamo essere in grado di riprenderci in mano. La città però fa fatica a vivere le periferie, l'accoglienza. È una città che perde in spiritualità, e non mi riferisco all'andare a messa o meno. Questa città non deve perdere l'anima: io ci credo, sono ottimista, ma avverto fatica».

Il senso dello stare in piazza 43 anni dopo sta anche in questo?
«Certo, il ritrovarsi in piazza è il ritrovarsi come cittadini. Io sono sempre venuto in piazza Loggia con lo spirito di educarmi alla cittadinanza e di partecipare. Esserci è un atto di fedeltà a questa città, e non è mai occasione di memoria, ma è cavalcare il futuro. È sentirsi cittadini».

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